LA RICERCA DI PIANETI EXTRASOLARI

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Su un diverso versante, accertata la diffusione delle sostanze organiche prebiotiche, o addirittura di forme batteriche, nello spazio interstellare, occorre trovare i terreni in cui questi "semi" possono attecchire e svilupparsi cioè pianeti adatti ad ospitare la vita, ed in questo campo le note sono piuttosto dolenti.

I pianeti extrasolari scoperti sino ad oggi, (settembre 2004 - ved. catalogo http://cfa-www.harvard.edu/planets/cat1.html) sono 129 in 113 sistemi planetari di cui 13 con più di un pianeta ed il loro numero è in continuo aumento; non sembrano però adatti ad ospitare la vita. Sono in prevalenza pianeti giganti di dimensioni maggiori, uguali o poco minori di Giove, per lo più gassosi, con orbite inspiegabilmente molto strette, spesso esageratamente ellittiche, quasi mai prossime a quella che è considerata la fascia più favorevole ai processi vitali. Questa fascia nel sistema solare varia da circa 0,5 a 2 Unità Astronomiche, vale a dire tra 75 e 300 milioni di Km. Qualche forma di vita potrebbe essere possibile soltanto sugli eventuali satelliti di questi pianeti quando si trovassero entro la fascia abitabile.

In altri sistemi la fascia abitabile si colloca a distanze proporzionali alla massa ed alla temperatura della stella.

Per inciso, i pianeti finora scoperti nessuno li ha veramente visti. La loro presenza è stata soltanto dedotta dall’influenza gravitazionale che esercitano sull’astro centrale che per la presenza dei pianeti è costretto ad orbitare intorno al centro di gravità comune mostrando delle oscillazioni rilevabili dai grandi telescopi più recenti.

Anche in questo settore la ricerca prosegue incessantemente alla caccia di pianeti con dimensioni, posizione e caratteristiche prossime a quelle della terra, che sembrano le più idonee all’evoluzione di animali superiori ed allo sviluppo di una civiltà, ma le difficoltà che si debbono superare sono veramente enormi.

Molto ci si attende dai telescopi attualmente in costruzione quali il VLTI (very large telescope interferometer) dell’Agenzia Europea ESO, costituito da quattro telescopi da 8 metri installati sul Cerro Paranal in Cile.

VLTI  dell’ESO
Very Large Telescope Interferometer

 

Il VLTI, operando con metodo interferometrico, potrà raggiungere una capacità risolutiva migliore di 50 milionesimi di secondo d’arco.

Il che equivale riuscire a distinguere una moneta da 100 lire (o 2 euro) ad oltre 100.000 Km., ed un oggetto di dieci centimetri sulla luna.

La capacità risolutiva di questo strumento consentirà misure astrometriche in grado di rivelare le oscillazioni orbitali indotte sulle stelle dai pianeti di grande massa per verificare statisticamente l’abbondanza dei sistemi planetari sino a distanze di oltre un centinaio di anni luce, di determinare la dimensione angolare delle stelle e di effettuare analisi spettrali accurate per determinare le caratteristiche dei corpi osservati.

Con il VLTI un pianeta di dimensioni giovane può risultare visibile ad una distanza di una cinquantina di anni luce, ma un pianeta delle dimensioni della terra risulterebbe visibile solo ad una distanza di cinque anni luce (cioè poco più della distanza che ci separa dalla stella più vicina).

LARGE  BINOCULAR  TELESCOPE

  

E’ in corso anche la realizzazione del LARGE BINOCULAR TELESCOPE, attualmente in fase di avanzata costruzione sul monte Graham in Arizona, che sarà completamente operativo nel 2004/2005.

Il LARGE BINOCULAR TELESCOPE (LBT), con meccanica integralmente realizzata in Italia dalla Ansaldo-Camozzi, è munito di due specchi del diametro di 8,40 metri operanti in parallelo con una apertura totale equivalente ad uno strumento di 11,80 metri per la raccolta della luce e di 22,80 metri per risoluzione.  

Per poter osservare fino ad una distanza di almeno 50 anni luce pianeti di tipo terrestre, con massa compresa tra 0,5 e 2, o poco più, masse terrestri ritenuti gli unici idonei ad ospitare organismi superiori, dovremo però ancora attendere la realizzazione dei progetti, attualmente allo studio, del Telescopio spaziale di nuova generazione (next generation space telescope) e del TERRESTRIAL PLANET FINDER (Ricercatore di Pianeti di tipo Terrestre).

NEXT GENERATION SPACE TELESCOPE

               

Il TELESCOPIO SPAZIALE DI NUOVA GENERAZIONE, di cui vediamo nelle immagini alcuni dei progetti proposti, dovrebbe sostituire, o integrare, il telescopio HUBBLE. Sarà dotato di uno specchio di 8 mt. di diametro e di sensori adatti a captare una gamma di onde elettromagnetiche estesa dall’infrarosso all’ultravioletto. Il lancio ed il collocamento in orbita, nel punto Lagrangiano L2 a circa un milione e mezzo di Km. dalla terra, dovrebbe avvenire, se non interverranno ritardi o tagli dei finanziamenti, nel 2009/2010.

Percorso di inserimento in orbita

Nell’immagine vediamo la posizione dei punti lagrangiani del sistema terra-sole. Il nuovo telescopio spaziale sarà inserito in un’orbita circolare del diametro di oltre un milione di Km., centrata sul punto L2, seguendo l’intricato percorso di inserimento indicato in figura. 

Per il 2012 è invece in programma il “TERRESTRIAL PLANET FINDER”, un complesso di 4 telescopi spaziali, ciascuno con specchio principale da 3,5 metri, che verranno anch’essi collocati in orbita intorno al punto lagrangiano L 2. 

IL “TERRESTRIAL PLANET FINDER”

IL “TERRESTRIAL PLANET FINDER” 

Particolare di un Telescopio

Questi quattro telescopi, disposti in linea a distanza di qualche centinaio di metri da uno all’altro opereranno con metodo interferometrico e cercheranno di scoprire pianeti con caratteristiche simili alla terra sino ad una distanza di una cinquantina di anni luce da noi, avvalendosi anche della collaborazione dei sistemi a terra come il Kech Telescope delle Hawai, il Very Large Telescope dell’ESO, il Large Binocular Telescope. 

VERY LARGE ARRAY

Nel campo della radioastronomia opera già da qualche anno il VERY LARGE ARRAY  del Nuovo Messico, un complesso di 27 radiotelescopi  raggruppati secondo uno schema ad Y e montati su rotaie per poter variare la base e gli accoppiamenti interferometrici. 

 

La capacità risolutiva degli interferometri radio, che richiede basi molto grandi per eguagliare la risoluzione degli interferometri ottici, viene poi ulteriormente potenziata estendendo il collegamento a telescopi o complessi distanti centinaia o migliaia di Km.

Metodi di ricerca di PIANETI EXTRASOLARI

Nel grafico sono illustrati i metodi adottati per la scoperta dei pianeti extrasolari. 

Dalla molteplicità e dalle combinazioni delle strategie adottate è possibile trarre una indicazione delle enormi difficoltà che si incontrano in questa ricerca e quanta strada resti da compiere per disporre dei mezzi necessari alla osservazione di pianeti di tipo e massa terrestre. 

Le metodologie adottate, che nel complesso riescono ad individuare i sistemi planetari prevalentemente osservando le oscillazioni della stella centrale, consentono anche di comprendere le ragioni che privilegiano la scoperta di sistemi anomali poiché l’irregolarità delle orbite planetarie amplificano le oscillazioni dell’astro rendendole più facilmente rilevabili. Fino ad ora un solo sistema con le caratteristiche di regolarità proprie del sistema solare è stato scoperto attorno alla stella 47 nell’Orsa Maggiore a 51 anni luce da noi dove è possibile si trovino pianeti di tipo terrestre.

LA NEBULOSA DI ORIONE

                   Nel visibile                                     Nell'infrarosso

       

Alla ricerca di sistemi planetari extrasolari il telescopio spaziale HUBBLE ha scoperto nella nebulosa di Orione oltre 20.000 stelle di piccola massa, paragonabili al Sole, formatesi negli ultimi 10 milioni di anni. Di queste stelle soltanto una percentuale inferiore al 8 - 10% riesce però a trattenere un disco protoplanetario, perché nel gruppo sono presenti anche alcune supergiganti che con i loro forti venti stellari distruggono i dischi. Può sembrare una situazione allarmante per l’abbondanza statistica dei sistemi planetari ma a mio avviso si tratta soltanto di una situazione transitoria. Infatti nel giro di pochi milioni di anni le stelle di grande massa esploderanno come supernove ripristinando nubi di gas e polveri da cui le stelle più piccole potranno abbondantemente attingere il materiale per riformare i dischi planetari, materiale che per di più risulterà arricchito degli elementi pesanti che solo le supernove possono produrre.

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